Dopo il racconto delle sue prime tre tappe, documentate QUI, il viaggio di Antonio continua. Ripartiamo con lui!
Quarta tappa
Oggi ricomincio a camminare. Dopo qualche settimana di pausa ho deciso di riprendere il mio progetto di completare il cammino della Via Francisca del Lucomagno. Avevo percorso le prime tre tappe a distanza di giorni l’una dalle altre e lo stesso farò con le prossime: non sarà un vero cammino da pellegrino, ma nonostante ciò l’esperienza mi sta coinvolgendo profondamente. Oggi mi attende la quarta tappa da Castiglione Olona a Castellanza. Sono le 6.30 e Castiglione, in questa mattina di ottobre, è ancora avvolta nella semi oscurità. Attraverso i vicoli dell’antico borgo medievale e l’unica luce accesa è quella della sede di un quotidiano locale o di un’associazione… non capisco bene.
Abito a pochi chilometri da qui e Castiglione l’ho visitata tante volte, ma sento sempre il bisogno di fermare la magia di alcuni scorci sulle foto: saranno come il timbro sulla mia credenziale dal momento che a quest’ora del mattino non trovo nessuno in giro in grado di soddisfare la mia richiesta.
Lancio uno sguardo lassù al campanile della Collegiata, attraverso la piazza e scendo, velocizzando il passo, verso la ciclabile della valle Olona. La Pista ciclabile è meravigliosamente deserta; sono miei compagni di viaggio la melodia della natura che si sveglia, i colori che timidamente annunciano l’autunno e qualche tratto di binari della vecchia ferrovia della Valmorea che affiora qua e là sul sentiero della ciclabile. Sono solo, sento l’acqua del fiume sulle sponde e il cinguettio degli uccelli più mattinieri, svegliati dalle prime luci dell’alba. A.S. Pancrazio, primo luogo dove la pista incrocia la strada, non incontro nessuno e in testa ho solo la meta, lontana ancora quasi 20 km. Arrivo ben presto al Monastero di Torba, un angolo emozionante tra i boschi del Varesotto, quasi una street-view in diretta dal Medioevo. Mi avvio su per il viale, tutto è perfetto, perfino le sfumature rossastre delle foglie e l’umidità che sale dal prato perfettamente curato. Tutto perfetto, ma non si può entrare e un po’ mi rattrista vedere il patrimonio naturale e artistico accessibile solo a determinate condizioni e in determinati orari. Pazienza, mi consolo dicendo che devo continuare perché la strada è ancora lunga e riprendo la ciclabile. Prima dell’attraversamento stradale, sulla mia destra, c’è la Chiesa di Maria Santissima Bambina, costruita nel secolo scorso e che mi fa pensare a quelle chiesette del west americano, insomma …un po’ da “Casa nella prateria” Sono quasi le 8.00 ormai e il sentiero comincia a popolarsi: corridori, ciclisti solitari o in gruppo, ma anche famiglie con bimbi.
E’ bella la solitudine, ma è anche bello incontrare tutta questa variegata umanità in movimento. Quando arrivo al Casello 5 della ex Ferrovia Valmorea, nel comune di Castelseprio, noto molta agitazione: è in programma una castagnata nel pomeriggio e quindi fervono i preparativi. Ma io tiro dritto e continuo di buona lena attraversando il ponte sull’Olona che in quel punto costeggia una zona che si può definire di archeologia industriale: un antico centro manifatturiero con le case degli operai collegato col mondo industriale attraverso la ferrovia.
Da qui in poi tutto il corso del fiume è punteggiato DA insediamenti simili, purtroppo lasciati andare alla deriva e all’incuria totale. Nel comune di Lonate Ceppino il percorso si dipana sopra tracce di antichi scambi ferroviari della Valmorea. Poco più giù passo sotto il Ponte di Cairate, tristemente famoso come “ponte dei suicidi”. Ho percorso ormai quasi metà tappa quando entro nel territorio di Fagnano Olona e, dal fondo valle, scorgo le prime case e il campanile. Quando arrivo in località Balzarine un airone cinerino se la gode pacificamente in questa che è diventata una zona a riqualificazione naturale per la tutela della fauna; lo considero un mio “amico” visto che lo immortalo sempre quando faccio le mie escursioni in bici o a piedi passando da qui. La logica della riqualificazione naturale è messa a dura prova dalla presenza di un’associazione di Tiro a volo…ma probabilmente la fauna non si fa impressionare più di tanto dagli spari e dal rumore. Passo passo arrivo in località Calimali nel comune di Gorla Maggiore; qui “Il Bello e il Buono” dell’etimologia del luogo (Kalos kai Agathos) sono veramente inscindibili e convivono in perfetta armonia: quello che appare è una riuscitissima riqualificazione ecologica (il Buono) in un paesaggio esteticamente godibile (il Bello). L’Associazione dei Calimali merita i complimenti per come rende fruibile alla popolazione una località del proprio territorio.
Anche qui oggi si festeggia l’autunno con la consueta castagnata: ci sono tavoli con numerosi avventori, famiglie e bambini che giocano e si rincorrono. Mi avvicino alla casetta dell’accoglienza per far mettere il timbro della contrada sulla mia credenziale, timbro che sarà il secondo e ultimo della tappa di oggi. Sono a metà percorso, dopo Fagnano Olona, e arrivo nel comune di Solbiate e qui dietro a capannoni di vecchi insediamenti è stato creato un percorso vita, molto frequentato. Ormai lungo la ciclabile c’è un mondo variegato di ciclisti, corridori o semplici camminatori di qualsiasi età. Arrivo a Olgiate Olona, il paese dove risiedo e da cui parto ogni volta sia in bici sia a piedi per le mie gite. Prima di incrociare la strada provinciale, uscendo di pochi passi dal percorso, si può ammirare in località Moncucco la chiesetta di Sant’Antonio Abate, cinquecentesca costruzione dei Carmelitani. Deviando di un centinaio di metri dalla ciclabile si può visitare il la bellissima villa Gonzaga immersa nel Parco dell’ex OPAI (dell’Opera di Prevenzione Antitubercolare Infantile). Questo complesso oggi ospita gli uffici comunali, una scuola primaria, la biblioteca e altri servizi per il pubblico, ma in passato era dimora di un ramo della nobile famiglia dei Gonzaga (i “Gonzaga di Vescovato”). L’edificio risale al XIX secolo e sorse su una precedente villa di proprietà dei conti Quirici, poi dei baroni Castelli e infine dei conti Greppi. Ma ora torno velocissimo sul cammino che a questo punto si discosta dalle rive del fiume, passa vicino al monumento in ricordo del disastro aereo del 26 giugno 1959 che sfiorò il paese. Pochi passi ancora e sono alla fine della quarta tappa. Presto, prestissimo tornerò qui a Castellanza e mi metterò in cammino alla volta di Castelletto di Cuggiono per la mia quinta tappa.
Quinta tappa
Oggi è il giorno dedicato alla quinta tappa che inizio esattamente dove avevo finito la tappa scorsa. Sono alla fine della ciclabile della Valle Olona e sono deciso a raggiungere Castelletto di Cuggiono, paesino all’interno del Parco del Ticino. Attraverso il vecchio passaggio a livello e mi dirigo verso la vecchia stazione delle Ferrovie Nord, ormai in disuso da quando in questa zona la ferrovia è stata completamente interrata. Costeggio l’imponente polo industriale dell’ex Montedison, passo in prossimità dell’Istituto Comprensivo Aldo Moro, lo oltrepasso, giro sulla sinistra lungo la pista ciclabile, ma purtroppo devo notare in questa zona l’assenza di segnaletica della Via Francisca, cosa che mi fa girare intorno all’isolato e perdere qualche minuto, ma non mi scoraggio e scorgo finalmente l’ingresso del Parco dell’Alto Milanese.
Certo non passa inosservato: è un cancello sovrastato da un’arcata di mattoni. Quando lo oltrepasso il cielo è ancora buio e la zona è scarsamente illuminata, ma riesco a intravedere un parco giochi e una struttura chiamata “Bailina”. Mi fermo cercando di capire quale sia il percorso da seguire… anche qua la segnaletica della Via Francisca è un po’ scarsa, ma mi viene in soccorso l’applicazione con la mappa on line che mi toglie dalle ambasce. Mi incammino finalmente lungo “la retta via” mentre tante piccole lepri mi attraversano la strada non so se più impaurite o sorprese da una presenza solitaria e così mattutina. Cammino beato, in perfetta solitudine, mi godo questo angolo di natura dentro la città che piano piano si sta popolando di gente che porta a spasso il cane o che si fa una bella corsetta. Devo dire che, pur abitando non molto lontano da qui, non conoscevo questo parco che invece mi ha sorpreso per la tranquillità: ci verrò sicuramente a passeggiare o in bicicletta.
Il percorso intanto si dipana tra Castellanza, Borsano (quartiere di Busto Arsizio) e Legnano e si dirige verso Dairago (il paese dei Murales). Il territorio circostante prevalentamente agricolo si attraversa tranquillamente…la mia testa è in armonia con i miei passi. La stessa cosa non posso dire purtroppo del Parco delle Roggie; appena attraverso la provinciale che collega Busto A. a Dairago mi addentro nel parco e mi trovo nel tratto di percorso più bruttino della Via Francisca che ho fin qui attraversato: degrado e sporcizia la fanno da padroni e non nascondo che camminare qui non mi fa stare poi così tanto sicuro. I molti camion che transitano di qui diretti alla vicina cava sollevano tanta polvere da far mancare il respiro e hanno coperto la vegetazione circostante di polvere. Ma eccomi finalmente a Buscate, primo centro abitato lungo il percorso. Attraverso il ponte sul Canale Villoresi dove noto le suggestive indicazioni al suolo sulle destinazioni da raggiungere. Sono qui e sarebbe un peccato non visitare la Chiesa Parrocchiale di San Mauro Abate, ma all’interno ci sono molti ragazzi che seguono il catechismo e vado via, senza disturbare il parroco. Osservo e faccio una foto al cancello della Villa Rosales, risalente al 17esimo secolo, costruita dagli ultimi feudatari di Buscate e poi faccio una foto alla Torre dell’Acquedotto.
Per lasciare sulla mia credenziale il segno del mio passaggio da questo luogo cerco la “Corte del Poeta”, indicata nella app come luogo di accoglienza, ma invano perché è chiuso e aprirà nel pomeriggio. Mi incammino allora verso la biblioteca, apro la porta, salgo le scale e mi stupisce il fatto che per terra sono presenti i percorsi per chi sale e per chi scende.
Tutto questo mi fa capire dove ci ha portato questa psicopandemia che ha colpito soprattutto il sistema nervoso …semplicemente un’assurdità… nemmeno ci fossero centinaia e centinaia di persone che si accalcano in biblioteca!!Arrivo nella biblioteca l’impiegato mi timbra la credenziale, esco seguendo il percorso indicato…. Non ho parole! Mi incammino verso Cuggiono, i cartelli indicano che mancano ancora 3 km. Più avanti capirò a mie spese che non sempre le indicazioni sui km stradali sono attendibili. Come si dice l’ultimo km non finisce mai, ma entro nel paese, passo davanti all’antica chiesa di S. Maria in Braida costruita nel 1777 su un’altra chiesetta esistente dal 1300 e ora trasformata in centro culturale denominato “Le radici e le ali”; più in la visito la vecchia chiesa di San Rocco il cui edificio venne costruito per volontà di un gruppo di cuggionesi che agli inizi del XVI secolo fondarono una confraternita, “La Scuola di San Rocco” facendo voto di costruire una chiesa dedicata al santo pellegrino se il paese fosse stato liberato dal flagello della sifilide.
Alla Chiesa di S. Giorgio mi accoglie il parroco di origine trentine e con dei parenti a Costanza, città di partenza della Via Francisca del
Lucomagno – che coincidenza! – che mi sottopone a un vero interrogatorio sulle mie intenzioni nell’affrontare il cammino: lo faccio
per scopi religiosi o turistici. Poi alla fine mi concede il timbro sulla credenziale come farà più tardi anche l’impiegata della biblioteca
comunale, per me preziosa testimonianza del mio passaggio sulla via Francisca. Ma devo riprendere in fretta il cammino se voglio
raggiungere Castelletto di Cuggiono.
Il primo cartello nel quale mi imbatto indica 1 km…benissimo, penso, e vado avanti con lena ed
entusiasmo, sono quasi arrivato (credo), ma ecco presentarsi ai miei occhi un altro cartello che recita (anche questo) 1 km e con questi sono due….continuo il cammino sempre più convinto che l’ultimo km non finisce mai infatti ecco il terzo cartello, stessa scritta 1km. Spero sia veramente l’ultimo, sono stanco, ho fame, il tempo minaccia pioggia e devo fare ritorno a casa. Fortunatamente l’ultimo cartello è veritiero infatti arrivo in piazza a Castelletto, sono le 12.30 e mi rendo conto che ho camminato per più di 5 ore (non era più semplice scrivere sul primo 3 km?). Sono in piazza, alle spalle ho Villa Clerici e mi incammino nell’edificio storico che costeggia la villa, che credo in passato possa essere stato sede del decanato…non so bene…alla ricerca della Scala di Giacobbe meta finale del mio cammino. Ci sono finalmente! Sono pronto già a ripartire…che passione la via Francisca.
Sesta tappa
Settima tappa
Me ne mancano ancora due e poi avrò portato a termine questa esperienza coinvolgente a contatto con paesaggi e condizioni climatiche sempre diverse. Sono partito col sole cocente delle prime tappe, ho percorso la terza e la quinta sotto la pioggia, il freddo della prima gelata autunnale mi ha accompagnato durante la sesta…cosa manca all’appello? La nebbia, logicamente! E allora eccomi accontentato: parto da Abbiategrasso quando sono quasi le sette di un sabato autunnale con la cittadina ancora addormentata e semideserta. Dalla Chiesa di Sant’Antonio Abate all’altezza della chiusa sul Naviglio Grande, passo davanti ai cancelli di quella che fu la Mivar e costeggiando le chiuse del Naviglio mi incammino lungo il percorso. Presto mi accorgo che sarà una tappa monotona con poche emozioni.
La nebbia che il giorno nascente porta con sé riduce la visibilità a non più di 50 metri, ma devo dire che la cosa non mi dispiace affatto: sono immerso nella natura in perfetta solitudine, accanto ho soltanto larghe distese pianeggianti solcate da una rete di canali irrigui. Gli unici edifici sono alcune vecchie cascine diroccate che costeggiano il percorso e altre più in lontananza. Arrivo all’altezza di Morimondo che credevo fosse sul percorso e che invece devo lasciare il Naviglio per raggiungere. Percorro più o meno un chilometro e mi ritrovo a passeggiare in paesino piovuto da un’altra epoca, anche lui ancora immerso nella nebbia. Due archi mi introducono nel suggestivo piazzale, dominato su un lato dalla chiesa abbaziale intitolata a Santa Maria Nascente, costruita fra il 1182 e il 1292.
Un autentico gioiello di arte gotica fondata da monaci Cistercensi provenienti dall’Abbazia francese di Morimondo. Con un balzo indietro nel tempo percorro la navata principale passando accanto ai bellissimi pilastri cilindrici e mi immagino seduto su uno dei settanta stalli del meraviglio coro ligneo, dietro l’altare.
Sono estasiato da tanta bellezza storico religiosa, vorrei restare a godermi di più questa monumentale abbazia, ma il mio obiettivo per oggi è arrivare a Bereguardo e il cammino è ancora lungo…i primi raggi del timido sole novembrino fanno breccia nella nebbia, ma, a dispetto di ciò che mi immagino, il freddo si fa ancora più penetrante. A questo punto una colazione con un buon caffè ristoratore è proprio necessaria: sul piazzale la caffetteria è aperta e il mio desiderio è soddisfatto. Ripercorro la breve deviazione di percorso al contrario fino a raggiungere nuovamente il Naviglio e da qui in poi nulla cambia sempre lo stesso paesaggio: un’interminabile striscia di asfalto che corre accanto alla striscia d’acqua, compagne di destinazione.
Runner, ciclisti e pattinatori a rotelle cominciano a farsi numerosi. Ad un tratto faccio un incontro molto particolare: un gregge di oltre mille pecore si muove verso di me, su questo percorso obbligato per loro e…anche per me. Devo rallentare molto, praticamente fermarmi e lasciare che mi camminino attorno, quasi un mare che si fende, aprendosi, contro l’ostacolo, contro lo scoglio che in questo caso sono io. Dopo Morimondo la segnaletica indica che sono giunto a Fallavecchia…credo sia un piccolo borgo rurale di origini longobarde che prende il nome dalla cascina lì presente, molto grande con la chiesa e la trattoria dipendente, a suo tempo, dall’Abbazia cistercense di Morimondo.
Dopo quasi tre ore di cammino eccomi arrivato a Bereguardo; ci arrivo quasi a sorpresa perché la via ciclabile finisce all’improvviso accanto alla piazza del paese. Apprezzo il Castello Visconteo, dove è situato il comune e l’Istituto comprensivo di Bereguardo, ma noto una certa trascuratezza o almeno poca cura per la bellezza che invece è notevole in quell’edificio. Purtroppo devo fare una piccola riflessione su alcuni incontri poco felici: le impiegate del comune e il titolare di un’osteria che poneva come condizione per apporre il timbro sulla mia credenziale il fatto che avessi soggiornato nel suo locale. Mah! Decisamente strano e comunque non molto incline allo spirito della Via Francisca e lontano dal mondo dei pellegrini.
Ottava tappa
Oggi è il 20 novembre e io sono giunto all’ultima e breve tappa della via Francisca; parto da Bereguardo e la meta è Pavia, precisamente la chiesa di S. Pietro in Ciel D’oro. Sono le 7.00 quando parto dal Piazzale della Chiesa di Sant′Antonio Abate a Bereguardo. Noto che molte delle chiese situate lungo il percorso sono intitolate e a S. Antonio Abate e a S. Rocco, protettore degli appestati…infatti oltre alle chiese ho notato tante colonne innalzate a ricordo della peste che si abbatté in queste territori intorno al 1630…proprio quella descritta dal Manzoni. Mi avvio chiedendo informazioni a una signora titolare del panificio sito sulla piazza: mi sorprende la sua gentilezza, la disponibilità a chiacchierare, l’entusiasmo e la curiosità che riserva al mio cammino…mi sorprende che esistano ancora persone così quando intorno non si vedono che sguardi torvi e occhi cupi (sorrisi non più visto che le bocche sono tutte coperte). Forse impietosita dalla mia levataccia e dal freddo mattutino mi offre addirittura la colazione: caffè e brioche. Con questa carica anche di buonumore parto e vorrei passare sul ponte di barche sul Ticino, ma il percorso prende una direzione diversa…e si addentra per uno sterrato allontanandosi dal fiume. Sul sentiero mi imbatto nella cascina di Moriano e nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo che purtroppo però, vista l’ora, è chiusa. Continuo il mio cammino attraversando la frazione Sanvarese con la chiesa si Sant’Eustachio e infine giungo a Torre d’Isola, un paesone composto da dodici frazioni più che altro insediamenti abitativi nelle cascine; cascine lombarde che nei secoli si sono gradualmente ampliate e fuse a formare gli attuali nuclei urbani. Qui a Torre d’Isola l’Imperatore Carlo Magno accampò il suo esercito nei pressi della località di Santa Sofia. Casottole e Massaua sono i maggiori centri abitati…in questa giornata fredda e nebbiosa seguo il percorso della Via Francisca velocemente senza troppo entusiasmo considerando che forse è la parte meno interessante di tutta la Via Francisca. Arrivato a Pavia e ritrovo l’entusiasmo e bellezza naturale incrociando il fiume all’altezza della Casa sul Fiume; le acque scorrono lentamente sotto il ponte mentre mi allontano e scorgo la Chiesa di San Lanfranco dove incontro un sacerdote veramente gentile e molto disponibile. Riprendo il cammino a passo spedito e verso il centro abitato, oltrepasso Piazza Minerva con la gigantesca statua, vedo la sede dell’Università ed entro nella bellissima chiesa di Santa Maria del Carmine. Il freddo pungente non mi dà tregua, anzi l’aria si fa sempre più tagliente quando finalmente giungo nella magnifica S. Pietro in Ciel D’oro che contiene la sublime Arca di Sant’Agostino collocata nel presbiterio, prima del coro.
Il buio e il silenzio danno un senso di misticismo che non ho riscontrato in nessuna delle chiese visitate lungo la Via Francisca. Sotto l’altare visito forse il nucleo originario della chiesa, la cripta con la tomba di Severino Boezio, sepoltura e uomo di dantesca memoria:
“Per vedere ogne ben dentro vi gode l’anima santa che ‘l mondo fallace fa manifesto a chi di lei ben ode Lo corpo ond’ella fu cacciata giace giuso in Cieldauro; ed essa da martiro e da esilio venne a questa pace”
Secondo una tradizione locale vi è sepolto anche il re longobardo Liutprando alla base dell’ultimo pilastro della navata destra. In sacrestia incontro padre Vittorio Sartirana che con una tranquillità che mette a dura prova la mia impazienza, appone l’ultimo agognato timbro alla mia credenziale.
Non mi sembra vero ma ci sono arrivato qui a Pavia, ce l’ho fatta! Anche se ho percorso questo cammino facendo una tappa alla volta in giorni diversi, ho scoperto il mondo dei pellegrini e ora sto provando l’emozione di portarmi a casa il mio “testimonium”.
Ma lasciando stare questo documento simbolico, mi porto a casa l’esperienza camminare in solitudine, in silenzio nel contatto più intimo e sincero con me stesso. Il cammino è un’emozione ….non puoi più farne a meno! Sono arrivato ma la mente corre alla prossima meta, alla prossima esperienza, alla prossima!